Psicodramma individuativo



Il cosmo è un palcoscenico e la vita è un passaggio sulla scena di questo palco: entri, guardi ed esci.

Il cosmo è mutamento, la vita è opinione che si adegua.




Origini dello psicodramma

Il vasto utilizzo della paroladrammanel lessico teatrale è dovuto all'utilizzo di storie che potessero innescare nel pubblico forti reazioni emotive.

Infatti questo termine deriva dal greco e significa azione, messa in atto, storia.

Lo psico-dramma, conseguentemente, è un metodo di indagine e sviluppo personale basato sulla messa in azione” di contenuti psichici, di contenuti del mondo interno. Attraverso lo psicodramma le persone possono concretizzare sulla scena le loro rappresentazioni mentali “giocando” in uno spazio come-se, in una realtà aumentata dalla possibilità creativa e – perché no? – anche da quella ricreativa.

J. L. Moreno:
il padre dello psicodramma moderno

Secondo il figlio Jonathan, in altri tempi suo padre Jacob Levi Moreno sarebbe stato un profeta religioso, un mago o un guru, mentre nel suo tempo fu tutto questo e anche un medico e uno psichiatra.

Questo scienziato psicologico, al quale piacevano più i bambini che gli attori (e gli attori più degli intellettuali), era capace di una sintesi di intuizione, pensiero e sentimento che lo rendeva invidiabile e scomodo come pochi tra gli studiosi del suo tempo. Forse è questa la risposta a chi si domanda perché i riconoscimenti tributati a Moreno siano, tutto sommato, inferiori a quelli che meriterebbe.

Moreno è nato nel 1889 a Bucarest da una famiglia di commercianti di origine ebraico-sefardita. All’epoca, era malato di rachitismo e nessun medico aveva saputo curarlo.

La madre piangeva sulla porta di casa, mostrando la sua pena ai passanti. Una zingara di passaggio la vide, si fermò e le disse: “Verrà il giorno in cui questo bambino sarà un grande uomo. Verrà gente da tutto il mondo per vederlo. Sarà saggio e gentile. Non piangere.”

Fu dunque una terapeuta selvaggia e naturale a guarire il ragazzo, consigliando alla madre:
“Mettilo nudo su un mucchio di sabbia al sole. Vedrai che guarirà.”

Da questo evento, e per tutta la vita che da quello gli fu concessa, egli ebbe una forte vocazione spirituale calata in varie forme di volontariato sociale e un occhio di riguardo per le minoranze e le persone in grave disagio.

Nel 1905 si trasferì a Vienna, dove studiò medicina e filosofia assorbendo la stratificata complessità di quello che allora era uno dei massimi centri culturali europei sia a livello artistico che sociopolitico.

Nel 1912 assistette a una lezione di Freud, al quale disse:


Ebbene, dottor Freud, io comincio dove lei finisce.
Lei incontra le persone nel setting artificiale del suo ufficio.
Io le incontro nelle strade e nelle loro case, nel loro ambiente.
Lei analizza i loro sogni. Io dò loro il coraggio di sognare ancora.
Lei le analizza e le scompone. Io consento loro di agire
i loro ruoli conflittuali e le aiuto a ricomporre le parti separate.


Foto di Moreno che tende le braccia invitando qualcuno tra i presenti a salire sul palco


Lo psicodramma di Moreno

Moreno fondò il Teatro della spontaneità a Vienna, contestando la fissità dei ruoli e la passiva fruizione degli spettatori del teatro tradizionale, e proprio lì nel 1921 ebbe luogo la prima dimostrazione di quello che in seguito venne chiamato sociodramma: Moreno lasciò una poltrona vuota sul palcoscenico invitando i presenti a sedervisi e ad agire come se fossero nel ruolo del Re.

Proprio il ruolo, secondo Moreno, è l'unica forma conoscibile del Sé e della personalità, e pertanto gioca una parte fondamentale nel processo terapeutico. Il ruolo è la forma operativa che l'individuo assume nel momento in cui si trova in una situazione nella quale sono implicati altre persone o oggetti, e inizia ad apparire fin dai primi istanti di vita attraverso la relazione madre-bambino.

La dinamica ruolo-controruolo accompagna l'individuo per tutta la vita, e costituisce una delle basi delle relazioni sociali. La molteplicità dei ruoli giocati e la capacità di interpretare ruoli sempre nuovi e non cristallizzati, attraverso la spontaneità e la creatività, è secondo Moreno caratteristica fondamentale del benessere psicologico e sociale.

Nel 1925 emigrò negli Stati Uniti, e alla fine degli anni ’30 fondò a Beacon un ospedale psichiatrico che comprendeva un teatro in cui lo psicodramma poteva essere praticato come parte della terapia, e in cui poteva praticare quella che egli chiamò la sociatria, cioè la cura della società attraverso il gruppo.

Nel 1942 fondò la Società Americana di Psicoterapia e Psicodramma di gruppo, e dopo la sua morte nel 1974 sua moglie Zerka continuò a viaggiare, insegnando e addestrando allo psicodramma altri allievi.


Bisogna imparare di nuovo a giocare come giocano i bambini, a realizzare sé stessi in un gioco che non faccia differenza tra reale, immaginario e presunto.
Giocare guarisce.



Alcuni concetti di base

Lo psicodramma non è “fictio scenica”, con attori professionisti e un copione da seguire, ma è il teatro di tutti che riesce a condurre chi lo pratica verso la liberazione realizzando appieno quella che Aristotele definì una catarsi, ovvero una purificazione.

Moreno elaborò un pensiero a cavallo tra pratica clinica e sociale, una filosofia ad impronta fenomenologica ed esistenzialista i cui concetti base sono:

1) ogni persona è co-responsabile e co-creatrice del mondo;

2) lavorare allo sviluppo della spontaneità e della creatività permette di diventare più autentici e realizzare appieno le proprie potenzialità;

3) il gruppo è contemporaneamente luogo, mezzo e agente di cambiamento e di sviluppo della persona;

4) nel gruppo formato attraverso la metodologia psicodrammatica vige la sospensione del giudizio, la valorizzazione della verità soggettiva e personale, il rispecchiamento reciproco e il riconoscimento della legittimità dell'altrə.


Lo psicodramma individuativo

All'interno della scena la/il protagonista è attivamente impegnatə a svelarsi anche a sé stessə, a conoscersi e riconoscersi, e a sviluppare le proprie risorse.

Ed è proprio per questo lo si definisce individuativo”, perché è un esercizio che ci permette di avvicinarci, passo dopo passo, a quel che vorremmo dire e fare in alcune situazioni: a diventare quello che siamo, senza blocchi reattivi o filtri che non ci appartengono.

In una drammatizzazione la persona può dialogare con le diverse parti del suo mondo interno, con i suoi dubbi, le sue domande, i suoi talenti, i suoi blocchi, i suoi desideri, i suoi bisogni… e confrontarsi con il punto di vista degli altri, entrando nei loro panni.

Questo dialogo interno che si impara ad utilizzare diverrà poi, mano a mano che ci si prende confidenza, un nuovo modo di relazionarsi a sé stessi e al mondo, un modo che potrà aiutarci a cogliere possibili soluzioni ai nostri conflitti intrapsichici e relazionali.


Il paziente può rendersi creativamente
indipendente attraverso questo metodo...
dipingendo s
é stesso, dà forma a sé stesso.

C. G. Jung

























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